mercoledì 21 maggio 2014

Sulla Casa dello Studente. il Collettivo Unime e l'esperienza dell'occupazione.

Casa dello Studente: 3 mesi dopo.

Scriviamo questo comunicato, o almeno lo scrivo in prima persona, per cercare di chiarire e ripercorrere quella che si è rivelata l'esperienza conclusa dell'occupazione della Casa dello Studente. Un'esperienza terminata appunto qualche settimana fa quando gli occupanti hanno deciso di "auto-sgomberarsi" e lasciare la struttura.
Come hanno lasciata questa struttura?
Su questa domanda si è concentrata la maggiorparte della discussione recente, soprattutto dopo la notizia, fornita dai maggiori organi di informazione cittadina, di presunti danni al plesso che ammonterebbero a circa 40 mila euro. E ci si è abbandonati sui social network e sulla carta stampata a veementi attacchi carichi di indignazione ai presunti responsabili, da un lato, e strenue difese da parte dei collettivi degli studenti e degli attivisti del Teatro Pinelli, dall'altro.
Ma ritorniamo di qualche passo indietro. Cos'è successo davvero in questi mesi, da quando il 14 febbraio è iniziata l'occupazione della Casa dello Studente?
Avevamo dato la notizia quel giorno e riportato il comunicato degli occupanti nel quale si leggeva espressamente che "in unità di intenti col Teatro Pinelli, si è deciso di porre l'attenzione sulla Casa dello Studente". Il programma di quella che era stata presentata come una Z.T.L (Zona Temporaneamente Liberata), era appunto un'occupazione temporanea che,  secondo i schemi già seguiti dagli attivisti del Pinelli  in circostanze precenti (vedi Teatro Vittorio Emanuele e Palazzo della Cultura), con l'obiettivo appunto di "porre l'attenzione" su luoghi abbandonati della città, avrebbe dato spazio ad assemblee pubbliche sul bene comune, per poi concludersi con un concerto o una rappresentazione artistica.  Accesi i riflettori e a casa, insomma. Era anche l'occasione per ricordare lo sgombero del Teatro in Fiera l'anno precedente. Una buona occasione di riflessione e denuncia. I riflettori sono stati accesi (nel video di tempostretto si possono vedere le condizioni della Casa prima dell'occupazione) con gli articoli di corredo e però, come scritto giorni più tardi, il Collettivo Unime decide di proseguire autonomamente l'occupazione per chiedere una posizione ufficiale delle istituzioni sulla destinazione del luogo e per coinvolgere attivamente il resto della comunità studentesca messinese, sul solco della "valorizzazione dei beni comuni".



Il Collettivo Unime ha quindi continuato l'occupazione e si è fatto carico della gestione del posto liberato e aperto alla comunità, firmando da quel giorno in poi i comunicati ufficiali, e mettendoci la faccia anche mediante  l'identificazione della polizia municipale avvenuta durante le prime settimane. Il Collettivo Unime è (o era) formato da studenti universitari che per la maggior parte avevano condiviso l'esperienza del Teatro Pinelli (e per questo hanno collaborato nella riuscita del progetto iniziato dagli attivisti del Pinelli). Durante tutta l'occupazione la comunità cittadina li ha potuti incontrare nelle numerose assemblee pubbliche, nelle proiezioni di film, nelle presentazioni di libri e nei seminari. Nel corso dei mesi si sono avvicinati, presi dalla curiosità di osservarne l'operato, ma anche di vedere la struttura abbandonata da anni, molti cittadini e studenti che hanno potuto constatare l'impegno profuso per attivare giornalmente aule studio, biblioteche e poi per rimettere in sesto le disastrate e vuote stanze. Ci si è resi subito tutti conto che l'impresa di gestire ile numerose stanze distribuite nei 4 piani della struttura era davvero impervia. Per questo nel corso dell'esperienza si era deciso  di chiudere molte ali e corridoi della struttura, attraverso catenacci, impendendo l'accesso a parti pericolose come il terrazzo. Si è perfino innestata più volte  una "collaborazione pacifica" con gli impiegati dell'Ersu e le guardie giurate dirimpettaie all'edificio (nei locali tuttora attivi della mensa e degli uffici), preoccupate al pari degli studenti, per eventuali incidenti  e disagi.

Per questo mi sento di dire che il gruppo di studenti definitisi come Collettivo Unime, hanno profuso il massimo impegno per valorizzare al massimo la struttura, che si ricorda essere fatiscente e danneggiata dal non uso (erano presenti già calcinacci, vistose infiltrazioni d'acqua, porte divelte e tapparelle rotte) e renderla fruibile a tutti gli studenti, e non, che ne avevano e ne hanno tuttora un gran bisogno in quella parte di città. Hanno girato nelle Facoltà per cercare di destare l'attenzione su ciò che stavano provando a fare, volantinato, chiesto la collaborazione degli abitanti del quartiere per riciclare mobili usati. Hanno cercato di proporre alla comunità universitaria e giovanile ovvietà che in quel momento sembravano rivoluzionarie (aule studio aperte 24 ore su 24, raccolta di libri universitari usati) frutto di esigenze ancora oggi sentite e a cui altre associazioni universitarie e giovanili stanno solo ora con ritardo pesantissimo cercando di rispondere (vedi appunto biblioteche aperte e jam sessions).

Che non ci siano pienamente riusciti è stato purtroppo sotto gli occhi di tutti. L'esperienza è terminata con un auto-sgombero. Si è dichiarato il fallimento o il parziale fallimento dell'avventura che è nata con bei propositi e volontà di espansione ma si è dovuta arrendere alla realtà dei fatti, ma anche ad alcuni errori.
Non voglio qui dibattere se il bicchiere sia stato alla fine mezzo pieno o mezzo vuoto. Voglio partire dalla constazione che sì, ci sono stati degli errori, di cui si deve prendere atto perchè continui un movimento del genere a Messina, e di cui non ci si deve vergognare per altro, perchè arrivati dal mettersi in gioco di tanti giovani tra cui molti inesperti in proteste del genere. E servono anche a far fare a tanti un esame di coscienza, agli arrivisti, ai qualunquisti e ai tanti rezionari e conservatori di questa città.

Secondo il mio modesto avviso gli errori che sono emersi sono stati i seguenti:

L'imprecisione del soggetto collettivo studentesco. Fin dal primo giorno in molti non hanno capito chi dei due soggetti (Teatro Pinelli o Collettivo Unime) portasse avanti e fosse l'effettivo artecife della protesta. In molti giornali addirittura si è continuato a parlare dell'occupazione come "occupazione del Pinelli" e degli attivisti studenti come "pinellini". Le contigenze hanno fatto sì che il Teatro Pinelli trovasse legittimamente dimora all'interno della Casa dello Studente e continuasse lì le tante attività che svolgeva all'ex Casa del Portuale, sgomberata nel gennaio precedente. Ma, non si è capito più chi fosse realmente l'ospite e chi l'ospitante. Le attività del Teatro Pinelli, compresi i concerti, sono proseguite all'interno della Casa dello Studente come se nulla fosse o non fosse cambiata la ragione sociale della protesta, dando un senso di spaesamento a molti studenti che si ritrovavano nelle stesse identiche dinamiche della Casa del Portuale e che hanno finito per non fare più differenza tra i due soggetti. Gli studenti occupanti, hanno finito, per inesperienza forse, a subire questa ingobrante presenza, non riuscendo a definirsi come realtà autonoma e finendo per dipendere dalle strutture sociali e di mobilitazione, nonchè dalla presenza fisica degli stessi attivisti del Pinelli. E dire che ancora molti credono che "il Pinelli" non c'era o che non fosse fondamentalmente presente. Probabilmente tutta questa avventura non sarebbe avvenuta senza loro (e non staremmo parlando di nulla ora)  ma gli studenti hanno finito per restare troppo sotto la loro ala,  non rendendosi indipendenti e soffocondo così le loro giuste ragioni. Disaffezione e contrasti interni hanno portato poi alla debolezza del Collettivo, alla decisione di auto-sgomberarsi, e alla sua morte forse, nonostante i comunicati di risposta alle accuse di danni ancora vengono emessi.

Inadeguatezza degli spazi 
L'oggetto della protesta, ovvero la Casa dello Studente, di proprietà comunale e gestita (malamente) dall'Ersu, è un'imponente struttura che si staglia in pieno centro cittadino vicinissimo ai plessi delle facoltà centrali (Economia, Legge, e più su S.Politiche e Psicologia) e a centri nevralgici come il Tribunale. Proprio questa vicina presenza ne ha fatto l'oggetto di un bieco contendere tra associazioni legatizie e comune. a questa vicenda, ahinoi, non  è ancora stata posta la parola fine, continuando a protarsi il disagio di una parte dell'amministrazione giuridica e soprattutto il rischio della perdita di importanti finanziamenti pubblici e lo sperpero di denaro per l'affitto di studi privati. Da parte di alcuni studenti, in quanto anche cittadini, si è presa in considerazione questa problematica, mettendo però al centro l'esigenza attuale di uno studentato come si deve, che serva al centro della città e alla zona sud. Uno studentato che non sia però solo dormitorio, ma anche importante centro di aggregrazione, visto la grave mancanze di grandi strutture adibite a ciò. Metà della struttura, come detto prima, quella occupata dagli uffici Ersu e della Mensa universitaria già svolge un'importante funzione. Si sapeva già che la struttura era chiusa da quasi cinque anni e sarebbero dovuti partire i lavori per un adeguamento sismico dopo il terremoto dell'Aquila. L'occupazione sarebbe dovuta durare, a detta di molti studenti, fino al definitivo avvio dei lavori (che ancora non si sa quando inzierano per altro). Nel frattempo si doveva dare una dimostrazione di come utilizzare questi luoghi. La struttura è quasi interamente adibita a dormitorio, vi sono 4 piani, sei ali, con in totale 270 posti letto circa. Gli unici spazi vivibili in comunità sono l'ingresso, il piano superiore e alcuni salottini posti nelle ali al secondo al terzo piano. I momenti di socialità erano compromessi dunque da questo tipo di struttura, che favoriva l'isolamento di molti. Volendo comunque utilizzarla come studentato-dormitorio, mancavano molte cose: cucina e scaldabagni su tutto. Lo stesso rettore Navarra, ha secondo me, giustamente ammesso l'inadeguatezza delle stesse stanze per uno studentato moderno. La Casa dello Studente a Gravitelli è forse un esempio di struttura moderna, situata purtroppo in cima ad un viale servito da pochissimi mezzi di trasporto.
Si è dichiarato che si voleva la garanzia sulla destinazione d'uso della struttura. E' stato veramente giusto trincerarsi dietro l'immodificabilità della sede della struttura? Non era meglio forse accettare l'inutilizzabilità della Casa ma al contempo chiedere al Rettore garanzie sulla più rapida attivazione di una diversa struttura situata possibilmente al centro o in prossimità della linea tramviaria (ex ospedale Margherita).
Il luogo era inadatto ad un'occupazione stabile, il risultato è una struttura aperta per tre mesi ma chiusa in altri mesi più importanti per l'arrivo di nuove matricole che cercano casa nella città dello stretto. Lungi da noi, difendere le posizioni del Rettore, che ci appare lontano dal riconoscere le esigenze attuali di una vasta comunità di studenti e che quindi andrebbe strigliato per bene per chiedere soluzioni immediate all'importante disagio studentesco che tuttora persiste.


Tempi
Ricollegandomi al punto precedente, ovvero l'attivazione di uno studentato. Non ci si è resi conto di un punto fondamentale che riguarda gli affiti privati. E' difficile e quasi impossibile che uno studente che già è in affitto, possa da un giorno all'altro trasferirsi ad un luogo occupato. In molti casi paga già delle caparre che gli renderebbero esoso lasciare la sua stanza già pagata profumatamente. Per poi, inoltre, andare in un luogo che non può garantirgli immediatamente gli stessi servizi. E che in più è sottoposto al rischio costante di sgombero, per cui  si potrebbe trovare sulla strada senza alcun preavviso.
Quindi se ci si è attivati con l'intenzione di far dormire gente al suo interno, si è quasi fallito in partenza. O almeno bisognava essere più pazienti (aspettare mesi migliori) o come detto prima, cercare un maggiore dialogo e diplomazia per rassicurarsi e cercare garanzie dalle istituzioni che potevano forse riconoscere e essere vicine ai problemi degli alloggi e spazi sociali.



In conclusione
L'esperienza è terminata. Non si sa se ce ne saranno delle altre. La struttura è stata lasciata. E' tornata in stato di abbandono. Non ci sono danni che ne inficiano l'utilizzo presente e futuro più di quanti non ci siano stati in tanti anni di continuo inutilizzo. Le polemiche e le accuse di danni sono delle sciocchezze, se, come è stato, messe all'interno di un'informazione incompleta che non tiene contono della situazione generale della struttura e della storia che sta dietro ad essa. Al di là dei comunicati e degli artircoli, concordo che sì, i responsabili devono pagare. I responsabili dell'abbandono e della rovina di una struttura pubblica, devono pagare dei danni fatti alla collettività. Chiunque avesse visto le condizioni del plesso prima dell'occupazione avrebbe gridato maggiormente allo scandalo. (Gli studenti avrebbero forse  dovuto cautelarsi di più ponendo preventivamente più documentazioni a riguardo).
La palla ora passa alla "collettività", che non dovrebbe in un paese democratico mai smettere di domandarsi in che cosa si è sbagliato, evitare di uscire con  ridicole tesi difensive, ma parlare alla gente con i fatti. Deve prendersi la sua responsabilità, non per fare processi, ma per migliorare tutti quanti e raggiungere gli obiettivi comuni. Sempre che ci siano.

Correzione: secondo lo stesso Ersu i posti complessivi all'interno della Casa dello Studente di Via Cesare Battisti sarebbero 240.
Giovanni Brancatelli

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